Chiesa e migranti nel tempo della pandemia

La pandemia che stiamo vivendo ha limitato i movimenti di tutti, ma soprattutto ha segnato il cammino dei migranti: chi vive in un paese diverso dal proprio da mesi e mesi non può – salvo eccezioni – rivedere i familiari, nemmeno in caso di gravi malattie. Alcuni dei Paesi più colpiti dal covid-19 – come la Romania, l’Ucraina e la Cina – contano centinaia di migliaia di cittadini domiciliati in Italia.

Particolarmente dolorosa è la situazione delle collaboratrici domestiche e familiari – oltre un milione – che talvolta sono state perfino licenziate per paura che la convivenza con loro fosse pericolosa. Le badanti in regola hanno ricevuto due mensilità da 500 euro, ma le altre si sono ritrovate senza alcuna risorsa per sé e i familiari che dipendono dal loro lavoro.

Ancora più grave è la situazione dei richiedenti asilo, in fuga da situazioni drammatiche, vittime dell’abbandono del Mediterraneo da parte dell’Europa e di un populismo che ha occhi solo per i problemi del proprio paese.

Nel tempo della pandemia le condizioni di vita dei migranti sono dunque molto peggiorate. Le comunità religiose hanno cercato comunque di aiutarli e continuano ad accompagnarli con le consuete celebrazioni, pur nell’osservanza delle regole sanitarie.

Anche gli italiani nel mondo – quasi 5,5 milioni secondo i dati ufficiali rimasti isolati dalla madrepatria ai quali vanno sommati tutti coloro i quali hanno lasciato il Paese senza iscriversi all’Aire, l’Anagrafe dei residenti all’estero – hanno trovato nelle Missioni Cattoliche Italiane luoghi di incontro e di consolazione. Alcuni fra loro, vittime del coronavirus, sono però morti senza poter rivedere i familiari.

Problemi e discriminazioni sono ancora maggiori per quanto riguarda i Sinti e i Rom, sui quali continuano a pesare gli antichi pregiudizi, che li accompagnano purtroppo in ogni circostanza della loro vita, dal ricovero in ospedale all’accesso agli uffici preposti all’assistenza.

Molto preoccupante è anche la situazione delle famiglie dello spettacolo viaggiante, per cui la mobilità – oggi tanto limitata – è uno strumento di lavoro. Anche per questo è stata importante la solidarietà assicurata loro dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas Italiana mettendo a disposizione spazi delle parrocchie per offrire un luogo di ritrovo e soprattutto di studio ai ragazzi che vivono con le loro famiglie nelle carovane dei circhi e dei Luna Park.

 

Don Gianni De Robertis

Direttore Generale della Fondazione Migrantes, C.E.I.